We Hate you Too - Howling Scars
Purple Black - Bone's Ground - The Dawn Star The Ghosts are Here - Relics of Restlessness Fear - ! |
Sperimentare: bisogna saperlo fare. Purtroppo, nella
recensione di oggi, vedremo come un duo francese non ci sia riuscito nel loro
progetto, chiamato 'WE HATE YOU TOO' con il loro disco di esordio 'Howling Scars'.
Il disco apre con la sua prima traccia "Purple Black" con una
melodia decisamente minimalista che fa
il suo lavoro non invadendo troppo la traccia, a differenza della voce che non
riesce a farsi ascoltare perché assolutamente fuori contesto. La successiva
traccia "Bone's ground" sembra prendere una piega diversa, sembra:
all inizio, infatti, partirà una melodia di pianoforte più complessa rispetto a
prima, ma sulla falsa riga della prima e la voce finalmente è più gradevole ma,
a rovinare tutto, sarà il riciclo delle idee che si ripeteranno all infinito e
questa voce di nuovo grottesca che stona completamente dalla strumentale. La
terza traccia "The Dawn Star" parte con una melodia più allegra,
proponendo però sempre le stesse idee fino alla fine della traccia. La
situazione peggiora con la voce che è ancor più fuori contesto e addirittura
azzarda a diventare più profonda, giusto per rendere la cosa più dissonante. La
quarta traccia "The Ghosts are here", presenta la medesima struttura
di pianoforte che ripete la stesse note e la voce che continua a devastare l’
apparato uditivo. Questa volta, possiamo sentire il trombone e altri strumenti
tipici del genere che riescono a risollevare il brano strumentalmente. La
quinta traccia, "Relics of Restlessness" incomincia immediatamente
con questa voce grottesca, e immediatamente fa riscendere le aspettative di
poter ascoltare qualcosa di diverso dal resto. A complicare questa sensazione
di disagio e di noia è la strumentale, data dalla sola e unica pianola che
ripropone le stesse note delle canzoni precedenti; la cosa peggiore è la durata
di questo riciclo: 6 minuti. Finalmente qualcosa si smuove nella sesta traccia
"Fear", dove nel bene o nel male la voce è completamente in pulito
piagnucolante, che per la prima volta riesce ad inserirsi discretamente con il
resto della base. Un brivido percorre la schiena alla vista del minutaggio dell’
ultima traccia, chiamata semplicemente “!”. Essa si apre come al solito con una
pianola che diventa la protagonista temporanea per primi minuti, creando un’
atmosfera tutto sommato di piacere e inquietudine, grazie all’ aggiunta di
altri strumenti che finalmente riescono ad essere più rilevanti. Dopo alcuni
minuti si aggiunge la voce questa volta sussurrata, che riesce a immettersi
delicatamente e ad essere coerente con
la strumentale che accantona, momentaneamente
(finalmente), la pianola, sostituendola con strumenti più tribali. A far
storcere il naso però sono i grugniti, quasi goregrind che si possono udire
negli spezzoni strumentali, che per fortuna non invadono e non disturbano
troppo l atmosfera. Ma come ci insegna questo lavoro, tutto ciò che funziona
deve essere ripetuto all’ infinito: l’ atmosfera a lungo andare si appiattisce
perché composta dalle stesse medesime note, con l’ aggiunta di versacci da
zombie che divenendo protagonisti per pochi secondi, pesando sul risultato e
che, invece di inquietare, danno soltanto fastidio (questo ultimo aspetto è
puramente soggettivo). Per fortuna il duetto si fa "perdonare",
proponendo una progressiva atmosfera
malinconica interamente strumentale. Questa strumentale ritornerà ad essere
pian piano sempre più minimale, riuscendo comunque a tenere l’ ascoltatore
piacevolmente attento a seguire l’ evoluzione. Dopo una piacevole strumentale
purtroppo si ha un leggero calo artistico che porta la traccia ad una direzione
più noise, accompagnata da queste inutili grida grind, che accompagnano la voce
tanto criticata. Il disco terminerà con la pianola mettendo la parola fine ad
un lavoro purtroppo "pigro".
Dopo l’ ascolto viene da chiedersi quale sia la natura del disco e per
esempio io recensore, oltre ad essermelo chiesto, mi sono fatto varie ipotesi:
1) un disco con buone intenzioni alla base, ma applicate con
una pigrizia tale da rendere il disco noioso
2) un disco troppo "Avant garde" per noi, che
probabilmente non siamo riusciti a capire.
Per dare il giudizio finale mi baserò su tutti e due i
punti: il disco sicuramente non è facile da seguire; tuttavia non aiuta questa
pigrizia che porta la maggior parte del minutaggio del disco ad essere
strumentalmente e soprattutto vocalmente piatto. Fa rabbia sentire gli spunti
interessanti ascoltati in "!", rovinati dall’ intero disco... se il
disco fosse stato composto solo da quest’ ultima traccia (o al massimo le
ultime due), esso sarebbe stato interessante e avrebbe fatto la sua figura, ma
così non è stato. Da segnalare la copertina che artisticamente incuriosisce, ed
è l’unico elemento ad avermi colpito del disco.
Federico C.
4/10
It's not a trombone, it's a french horn.
RispondiEliminaAlso, you whole review could have been summed by «I don't like growl voice so I can't like this record».