Recensione: Metallica - ...And Justice for All

Il titolo del quarto lavoro in studio dei Metallica sfugge alle eventuali casualità che potrebbero passare per la mente di chiunque si approcci a questo disco. Basti pensare alla storia personale degli stessi che, pochissimo tempo dopo la pubblicazione del capolavoro “Master Of Puppets”, durante il tour a supporto del suddetto in una tappa in Svezia, vedono morire davanti ai propri occhi l’amatissimo e compianto Cliff Burton, fra le menti principali della band della Bay Area con Papa Het e Ulrich.
Le atmosfere, già abbastanza cupe nei precedenti lavori, qui si fanno rabbiose e tetre, quasi a voler sottolineare la tragicità dell’evento che solo due anni prima ha visto coinvolto il loro amico e fratello Burton.  A sostituirlo nella line-up della band è il bravissimo Jason Newsted, un vero e proprio animale da palcoscenico, senza nulla togliere alle proprie capacità tecniche alle quattro corde.
Newsted che, però, si vede fin da subito tranciate le ali e, dove subito dopo il proprio ingresso nella band l’euforia la faceva da padrona, con “…And Justice For All” vuoi per l’ancora fresco lutto del precedente bassista, vuoi per “nonnismo”, il lavoro sulle quattro corde del nuovo arrivato è praticamente inudibile nella produzione originale (si vocifera che ci sia lo zampino di Ulrich in tutto ciò). Ad oggi, per chi volesse godere delle linee di basso del disco in questione esiste una “Enhanced Version” nella quale il buon vecchio Newsted ha avuto la tanto agognata giustizia (uno dei tanti collegamenti che si possono fare con il titolo dell’album).
Ebbene, ci troviamo nel 1988, con un profilo psicologico decisamente non dei migliori che, però, spinge tra gli inizi del gennaio agli inizi del Maggio dello stesso anno i Metallica a comporre uno dei lavori più ispirati e sentiti della loro intera carriera (piccolo parere personale: a mio avviso è il grande capolavoro dei Metallica nonostante tutti i difetti del caso). 


Pubblicato nell’Agosto dell’88, “…And Justice For All” è un autentico piacere per le orecchie: un disco che, nonostante un imminente compleanno trentennale in estate, non sente il peso dell’età e tutt’oggi ispira generazioni musicali che intendono suonare Thrash fresco.
Come non citare brani come “Blackened”, il cui riff principale non potrà più scappare dalla vostra testa una volta ascoltato, oppure la titletrack, un vero e proprio capolavoro compositivo sotto ogni punto di vista nonostante la lunga durata; la bellissima “Eye Of The Beholder”, la quale si regge su un riff, seppur monocorde, riuscitissimo e violento (altra considerazione personale: si tratta del mio brano preferito se si esclude la successiva “One”).
Ed eccoci al pezzo forte, “One” appunto, una delle canzoni più conosciute (non a caso) dei Metallica. Banalmente, è in assoluto il loro apice compositivo, partendo dall’intro nella quale sono udibili rumori di guerra, per poi proseguire con l’arpeggio che apre gli occhi e la mente dell’ascoltatore, il quale è catapultato nell’intreccio sonoro tra la chitarra di Hetfield e l’assolo in clean di Hammett (una delle sue migliori prove chitarristiche secondo il sottoscritto). Il canto inizialmente flebile di Hetfield non lascia spazio ad altre interpretazioni se non quella della paura della guerra che si tramuta in preghiera strozzata a Dio, nell’invana richiesta di un salvataggio da una situazione insostenibile. Le parti graffiate tipiche del vocalist californiano fanno da apice ad una interpretazione a dir poco sublime. Le evoluzioni che il brano riesce ad avere nei suoi 7 minuti e 27 secondi di durata sono da pelle d’oca e mettono in luce le enormi capacità compisitive dei thrasher americani.  Raggiunta la parte più “heavy”, le vostre teste andranno a ritmo di batteria e non potrete non cantare con Papa Het, uno degli spezzoni più famosi della loro intera discografia.
Diamo a Cesare quel che è di Cesare adesso: i due pezzi che seguono “One” potrebbero sembrarvi effimeri. Così non è, “The Shortest Straw” e “Harvester Of Sorrow” sono fra quei brani ai quali bisogna assolutamente dare ciò che gli spetta. No? Sviluppati su riff convincenti, entrambi catturano l’attenzione dell’ascoltatore e, senza troppi giri di parole, si attestano fra i migliori brani del disco.
Forse è con “The Frayed Ends Of Sanity” che i Metallica abbassano un pochino l’asticella risultando, secondo che scrive, il brano meno ispirato dell’intero lotto.
Ma non temete, il prossimo pezzo è probabilmente il pezzo strumentale migliore mai composto dai Metallica. Pensavate fosse impossibile battere “Orion”? Così è stato, invece: “To Live Is To Die” brano scritto da Hetfield, Ulrich e Burton prima di passare a miglior vita, si apre con un’armonia di chitarre acustiche estremamente emotiva, per poi evolversi nella classica durezza compositiva ben nota per chi ha già potuto toccare con mano le qualità dei Metallica, per raggiungere uno dei picchi emozionali più alti di “…And Justice For All”.  Indubbiamente si tratta di un pezzo dalla fattura pregevole, ma il vero gioiello è racchiuso nei quattro versi scritti da Burton e recitati in spoken-words da James Hetfield, nei quali è racchiuso il vero significato dell’intero disco:


« When a man lies he murders some part of the world
These are the pale deaths which men miscall their lives
All this I cannot bear to witness any longer
Cannot the kingdom of salvation take me home »

                                                                                -Cliff Burton


La conclusiva “DyersEve” è un pugno in faccia per l’ascoltatore. Hetfield grida nelle nostre orecchie la sua infanzia, in una lettera di odio verso la propria famiglia, in particolar modo nei confronti dei propri genitori. Musicalmente, la componente strumentale del brano suddetto non poteva che essere la miglior colonna sonora per questo personalissimo sfogo del vocalist americano.


Cos’altro aggiungere ad un disco che sa benissimo parlare da sé, se non l’ennesima riprova che chi riesce a criticare un capolavoro del calibro di “…And Justice For All” solo perché “il basso non si sente” potrebbe quanto meno ascoltare tutto il resto, perché c’è talmente tanta ispirazione in questo lavoro che sminuire il tutto in un pensiero bigotto e con pochissimo valore musicale, non rende giustizia a questo gioiello brillantissimo, la cui unica “colpa” è l’essere successivo a “Master Of Puppets”.

Michele S.

VOTO
9.5/10


Tracklist:
1.            Blackened
2.            ...and Justice for All
3.            Eye of the Beholder
4.            One
5.            The Shortest Straw
6.            Harvester of Sorrow
7.            The Frayed Ends of Sanity
8.            To Live Is to Die
9.            Dyers Eve

Line-Up:
Kirk Hammett – Chitarra solista
James Hetfield – Voce, Chitarra ritmica e acustica, testi
Jason Newsted – Basso
Lars Ulrich – Batteria





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