Recensione: Devin Townsend - Terria
Per chiunque ascolti metal da qualche anno è impossibile non
conoscere Devin Townsend, genio e sregolatezza del metal più avanguardistico
nel panorama odierno. Artista poliedrico passato in piena scioltezza dall'hard
rock con il maestro Steve Vai, a quel compianto progetto
cyber/thrash/industrial che furono gli Strapping Young Lad, passando per una
carriera solista cosparsa di dischi meritevoli, siano essi dischi metal, rock,
ambient, country o chi più ne ha più ne metta.
“Terria” rimane ad oggi, per chi scrive, il punto
stilistico più alto raggiunto da Devin e uno dei dischi più completi e perfetti
che ricordi, ma va detta una cosa. Terria è difficile, in perenne contrasto con
se stesso. Un continuo sobbalzare di umori e rumori.
“Olives” apre tra rumori, suoni della natura e lo strimpellare
quasi annoiato di chitarra su cui canticchia la voce del buon Devin, come a
immergerci in un’ isoletta felice, finchè non decide di esplodere nel momento
di massima rilassatezza.
Un impatto devastante, un muro sonoro che si abbatte
sull'ascoltatore con Devin che sfoga calma e rabbia in un continuo alternarsi
di vette, come delle irregolari montagne: questa è “Mountain” dopotutto, un
pezzo rabbioso, che poi arriva ad un momento etereo che vi farà sorridere per
la pace che crea, per poi devastare nuovamente l'orecchio nel richiamo finale
fra distorsioni, scream e il pazzo, pazzo Devin.
A questo punto vi starete chiedendo, "ma questo disco è
una follia continua?": la risposta
è sì. Lo è almeno in parte, “Earth Day” non fa che confermarlo in 9 minuti e
mezzo. Un'opera complessa fatta di sali-scendi e impatti sonori al limite del
metal più estremo, per poi ritornare ad essere eterea e corale nel momento in
cui Devin "sussurra" le sue parole, fino ad esplodere nuovamente quasi
incazzato con chi lo ascolta.
Peace,
Love, Joy
Man
overboard (I'm so far...)
Hate, hell,
war
Hate, love,
love, hate, love, hate...destruction!
Le parole stesse sono in continua contraddizione fra loro, a
simboleggiare quanto questo pezzo sia Devin stesso, bipolare, in continuo
combattimento fra sé e sé. E quanto questo pezzo possa rappresentare la Terra
stessa, in cerca di aiuto, in cerca di salvezza con un grido disperato.
Capolavoro assoluto.
Tutto si spegne, la rabbia sembra svanire, “Deep Peace” apre
le porte alla parte di Devin che con gli anni sentiremo sempre più, fatta di
pace e armonia con un pizzico di "sinistrismo" musicale. Il testo è
sofferente, una resa quasi.
It's alright to die
Recita più volte. E non sappiamo cosa passasse per la
sua testa durante la stesura di queste parole. Al centro si staglia su tutto un
assolo assolutamente perfetto, profondo, che muore per lasciare spazio alla
parte più etera e fiabesca della traccia. Per poi finire così com'era iniziata.
Soffice, come una pacifica nuvola.
“Canada” è il pezzo che vuole far sentire a casa ("the
road, it's home...") il pezzo si adagia su se stesso fino alla fine
eccetto per un piccolo "stacco" acustico accompagnato da una voce
effettata, che sembra quasi ubriaca; è un pezzo di speranza, di nostalgia. Ma
che musicalmente colpisce come sempre nel segno. Dalla prima all'ultima nota.
“Down and Under”, lo dice il titolo stesso, è una
strumentale che da acustica, eterea e solare si elettrifica col passare dei
secondi per poi tornare ad essere ciò che era, un sali e scendi emotivo.
Perfetta dov'è.
“The Fluke” è ciò che non ti aspetti, un pezzo tirato come
un brano a tratti punk rock, cosa che a qualcuno potrebbe ricordare un
omaggio a quel “Punky Brüster” che pochi conoscono. Nel mezzo il pezzo,
come da tradizione per questo disco, cambierà faccia in maniera assurda
entrando in un mood fatto di cori, muri sonori, quasi un'orchestra che irrompe
dove non dovrebbe essere, viene spazzata via in quattro e quattr' otto per
ritornare a quell'anima iniziale. Rapirà, lo farà in scioltezza come hanno
fatto tutte finora, perché vorrete scoprire dove la musica andrà, dove vi
porterà.
“Nobody's here”, è il pezzo più "canonico” fino ad ora,
ma il tutto è magistralmente costruito. Lento ed evocativo, soffuso, un pezzo
di una bellezza rara per chiunque, nonostante la mancanza di follia e di quei sali-scendi
che erano stati sino a qui il cardine del disco. Accompagnato da un Dev che
sembra quasi riferirsi a noi che ascoltiamo, sentendosi comunque solo con se
stesso.
Il finale è affidato dapprima a “Tiny Tears”, canzone con un
testo che sembra voler essere una lettera di scuse verso qualcuno, un sunto di
anni e anni di musica che portano al non avere la minima stabilità, né fisica
né psichica, è distorta come a sottolineare l'instabilità stessa. Il pianoforte
a fondo funge da calmante, ma non riesce ad emergere al di sopra della
confusione che chitarre, basso e batteria creano. Stupendo, epico, evocativo
come sempre, corale a più non posso, come a voler spianare la strada
all'imminente conclusione che è affidata a ciò che meno ci si aspetta da questo
disco. “Stagnant” è un pezzo assolutamente fuori da ogni contesto musicale che
fino ad ora si era affrontato: la parte centrale, non è confusa, non è nera o
bianca, non è follia come i suoi predecessori. È il pezzo in assoluto più
semplice, solare, pieno di ogni speranza che spazza via ogni grigiore. La
chiusura più assurda è incredibilmente quella più semplice. A sostenere un'altra
volta che questo disco non è nulla di ciò che ci aspetteremmo, quasi a
prenderci in giro fino alla fine, proprio come sottolinea la ghost track al suo interno. Ascoltare
per credere.
Conscio del merito che ha, conscio di ciò che “Terria”
rappresenta per la musica stessa, per Devin stesso, l'apice compositivo che
nonostante i continui capolavori sfornati dal nostro prima e dopo, non è più
stato raggiunto. Ma “Terria” è questo e questo rimane, un capolavoro assoluto
non solo per il metal, ma per la musica in generale.
Se “City” fu la rabbia incontrollata, “Terria” è la rabbia
che comincia a sciogliersi. Probabilmente, per me, a chiudere questo cerchio
emotivo sarà “Sky Blue” in futuro, la tranquillità ottenuta.
Una vittoria sotto ogni punto di vista, una rivincita verso
tutti. E se la perfezione non esiste, voglio credere che questo disco sia la
cosa che più gli si avvicina. Un monumento fatto di sudore, emozioni, contrasti
e visione.
Grazie, semplicemente grazie Devin.
Nicola S.
VOTO
10/10
Tracklist:
1. Olives
2. Mountain
3. Earth Day
4. Deep Peace
5. Canada
6. Down and Under
7. The Fluke
8. Nobody's Here
9. Tiny Tears
10. Stagnant
11. Humble (Ghost
Track)
Line-Up:
Gene Hoglan – Batteria
Devin Townsend – Voce, Chitarra, Tastiere, Campionamenti
Craig
McFarland – Basso (fretless)
Jamie Meyer
– Tastiere, Piano
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