Recensione: Darkflight - The Hereafter
Dall’Est europeo ci giungono
alle orecchie i Darkflight, gruppo doom/black che pone le sue radici in una
cittadina bulgara, Varna, conosciuta anche come “La perla del Mar Nero”, data
la sua raggiante bellezza e vistosità. Il gruppo si formò esattamente 17 anni
fa, quando si aprirono le porte al nuovo Millennio. Si proposero sin da subito
come un gruppo dal cantato cupo ed ancestrale, straziante e soffocato, unendo
le sonorità altisonanti del black metal a quelle basse e lugubri del doom.
Il loro piccolo repertorio
consta di tre demo, quattro album in studio ed un EP. C’è da precisare anche
che non si tratta di un vero e proprio gruppo, in quanto il lavoro musicale è
svolto da sole due persone, Ivo Iliev e MilenTodorov, che ricoprono molteplici
ruoli per quanto riguarda la strumentalizzazione e l’assetto vocale.
Grazie ad un gioco di
coordinazione e cooperazione reciproca i due sono riusciti nell’intento di
concretizzare il loro progetto musicale: lo si vede dal piccolo patrimonio da
loro elaborato nei 17 anni di carriera. Ed in questa recensione parleremo del
loro ultimo lavoro in studio, ossia “The hereafter”, rilasciato dalla Sathanas Records
in data 22 giugno 2017.
Il disco è strutturato in
poche e semplici tracce assai particolareggiate, data la fusione di due generi
metal leggermente contrastanti tra di loro, per un totale complessivo di poco
meno di un’ora di ascolto. La copertina del disco, tuttavia, rispecchia
maggiormente un contesto doom:
desolazione, abbandono e
solitudine prevalgono incontrastabili in quel paesaggio celestiale ed
incontaminato. Un laghetto avvolto da una coltre nebbiosa con degli alberi
attorno che lo separano dal cielo avvolto dalle nubi ma illuminato dalla sola
luce della luna piena. E, nel punto di fuoco dell’occhio, due monoliti serrano
le fronde degli alberi come per creare un collegamento a mo’ di clessidra tra
cielo ed acqua.
Musicalmente parlando le
tracce sono di medio/lunga durata e raggiungono un massimo di 13 minuti (“Sans
âme”) ad un minimo di 7 (“Expiring soul”). Complessivamente tutte e sei le
tracce hanno sonorità molto varie, che passano dalla cupezza del doom,
vocalmente basso e prettamente in clean,
allo stridente black dalle voci straziate ed inquietanti. Il lavoro
strumentale dei due ragazzi, inoltre, è ben fatto e non ci sono sbavature in
ambito compositivo, segno di grande dedizione ed abilità musicale nel
destreggiarsi tra uno e più strumenti.
Infatti sono presenti le
chitarre, il basso, la batteria e la tastiera, quest’ultima utilizzata per
creare ulteriore maestosità nelle canzoni. Essenzialmente prevalgono i piatti
della batteria ed il suono sinuoso della chitarra, mettendo lievemente in
secondo piano il basso. Si nota anche, quasi impercettibilmente, un ritmo molto
atmosferico, calmo e catatonico, che rende ogni canzone più particolareggiata
dell’altra, suadente ed emotivamente malinconica; lo strumentale va a braccetto
coi testi, raccapriccianti e malinconici nella stessa misura.
Allora, dando un duplice ascolto
all’album, si può notare forte impegno e devozione che scorre in queste sei
tracce da parte del duo, il che dà loro un punto a favore per l’impegno e la
maestria nell’aver saputo combinare strumentalità e voce in un album dalla
durata di un’ora. Non è un album da 10 e lode, nemmeno da un 6 scarso, ma
merita un bel 7,5/8.
Silvia S.
VOTO
7.5/10
Tracklist:
01. Crushed
02. Expiring Soul
03. Giving Up
04. The Outpost
05. Sans Âme
06. Threshold Of Death
Line-Up:
Ivo Iliev - Voce, Chitarra,
Tastiere
Dean Todorov - Basso,
Percussioni
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