Recensione: Celtic Frost - Monotheist
Celtic Frost: una band Svizzera che ha dato tanto al metal e
che non è mai stata ferma su un solo genere, ma anzi, che ha fatto da pioniera
per ciò che è venuto dopo.
Provenendo dagli HellHammer, i Celtic Frost furono fondati
nel 1984 da Tom G. Warrior e Martin Eric Ain (deceduto il 21 Ottobre 2017 per
un'insufficenza cardiaca), insieme a Isaac Darso, rispettivamente
cantante/chitarrista, bassista e batterista.
Dopo aver scritto capolavori come “To Mega Therion” e “Into
The Pandemonium”, dopo altri due full-length si sciolsero nel 1993. Riunitisi
nel 2001, dopo cinque anni diedero alla luce il loro ultimo lavoro.
Siamo nel 2006, esattamente il 29 Maggio, data in cui viene
rilasciato il loro sesto ed ultimo album: “Monotheist”: musicalmente è diverso
dai precedenti, virando di più verso il gothic/doom, con influenze thrash e
black.
La copertina è molto semplice, raffigura un ''mostro'' in
bianco e nero, la cui immagine è divisa in due parti: nella parte sinistra la
faccia è quasi totalmente oscurata, mentre dall'altra parte si notano le forme
del viso, con capelli lunghi. Le labbra invece sono completamente scure e si
notano solo i denti; inoltre si vede un'ombra che fa pensare ad un ragno sul
labbro.
Della durata di 69 minuti circa, l’album comprende 11 tracce
di media durata, tranne tre più lunghe delle altre: due della durata di oltre
sette minuti e la penultima di un quarto d'ora scarso.
Iniziamo il disco con “Progeny”, opener che ci catapulta nel
loro tipico stile veloce e oscuro; successivamente con “Ground” troviamo un
rallentamento nell'esecuzione, e la canzone convoglia quasi un senso di
claustrofobia.
“A Dying God Coming Into Human Flesh”, questo il titolo
della terza traccia del disco, è pezzo molto lento per i primi minuti, che
subisce evidente appesantimento fino a ritornare alla lentezza iniziale dopo.
Si prosegue con “Drown In Ashes”, sulla falsariga della precedente.
Proseguiamo con lo stesso stile per le successive tracce, cioè
“Os Abysmi Vel Daath”, “Obscured” e “Domain Of Decay”. Ma è dalla successiva “Ain
Elohim” che riprendiamo un po' di velocità perduta, anche se alternata a riff
più lenti e funerei.
“Totengott” è un pezzo
strano, il più atmosferico/ambient dell'intera tracklist, la quale canzone dà
impressione di voler spaventare l'ascoltatore, come se ci si trovasse un demone
di fronte a se stessi.
Ed eccoci ora alla penultima e più lunga traccia del disco, “Synagoga
Satanae”, composta da un ritmo cadenzato per tutta la durata. Siamo quindi alla
conclusione del disco con “Winter (Requiem, Chapter Three: Finale)”, la
conclusione del requiem iniziato con “Rex Iraenel” da “Into The Pandemonium”
del 1987, ma la seconda parte non fu mai pubblicata. Un pezzo strumentale che,
come dice il nome, è il requiem conclusivo della loro discografia.
Non lo considero né capolavoro e né delusione, ma è un
lavoro interessante e sicuramente da ascoltare, specialmente per gli amanti
dell'estremo.
Federico G.
Voto
8/10
Tracklist
01 –
Progeny
02 – Ground
03 – A
Dying God Coming Into Human Flesh
04 – Drown
In Ashes
05 – Os Abysmi
Vel Daath
06 –
Obscured
07 – Domain
Of Decay
08 – Ain
Elohim
09 –
Totengott
10 –
Synagoga Satanae
11 – Winter
(Requiem, Chapter Three: Finale)
Line Up
Tom Gabriel
Fischer – Voce, Chitarra
Erol Unala – Chitarra
Martin Eric Ain (RIP 2017) – Basso
Franco Sesa - Batteria
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