Recensione: Cannibal Corpse - Red Before Black
In questa recensione non
basterebbero poche parole per poter esprimere la grandiosità di questo gruppo
che ha fatto la storia del death. I Cannibal Corpse, band che ha posto le sue
radici verso la fine degli anni ’80, hanno influenzato moltissime band che
attualmente si dilettano in riff potenti, toni gutturali e growl sferzanti. Il
loro esordio risale, infatti, al 1989 dove cinque giovani ragazzi (Chris
Barnes, Jack Owen, Bob Rusay, Alex Webster e Paul Mazurkiewicz) pubblicarono la
loro prima demo omonima. Naturalmente, dopo susseguirono i primi album dal
ritmo agonizzante e dalle tematiche gore.
I loro testi, brutali ed
inquietanti, fanno riferimento a delle situazioni dove il corpo viene
grottescamente maciullato in un contesto assai violento e macabro. Ai testi
fanno sfondo le copertine, grottesche alla pari delle track presenti in ciascun
album. Alcune furono talmente esplicite e brutali che vennero censurate o sostituite
con un’altra grafica; altre vennero addirittura bandite completamente nel
mercato di certi Stati. In effetti il contesto grafico è caratterizzato da
corpi maciullati, evirati e mutilati, riversi in un mare di sangue e cupa
desolazione. Addirittura vengono riprese delle situazioni di estrema necrofilia
(“Tomb of the mutilated”) le quali suscitano ai più un senso di disgusto e
ribrezzo, data la forza emotiva dell’immagine stessa che racchiude un alone di
inquietudine (una sorte analoga l’ebbero gli Slayer con “Christ Illusion”, del
quale vennero pubblicate versioni differenti).
Dopo quattro album in studio,
nel 1995 venne sostituito Chris Barnes alla voce con l’attuale cantante George
Fisher, il quale ha un timbro canoro più possente e grave, a discapito di
quello tagliente e stridulo di Chris. All’interno della band non si registrano
intensi cambiamenti tra i membri, infatti ci furono solamente quattro
sostituzioni nei ventotto anni di carriera. Una carriera musicale fatta di
quattordici album assai perversi ma molto belli per gli amanti del death
grezzo. Ed in questa recensione andremo ad analizzare il loro ultimo caplavoro
in studio, ossia “Red before Black” che verrà rilasciato il 3 novembre dalla
Metal Blade Records e del quale sono state rilasciate tre tracce a disposizione
del pubblico.
Della copertina sappiamo
solamente che è molto semplice e cruenta al tempo stesso, tale da coinvolgerci
all’interno di essa. Infatti rappresenta un ragazzo dallo sguardo truce che
brandisce un coltello insanguinato e che guarda con cinica soddisfazione il lavoro
svolto. Dal basso della copertina viene rappresentato un prorompente schizzo di
sangue del povero corpo maciullato e, guardandola dall’alto verso il basso e poi viceversa si ha la macabra impressione
di immedesimarsi nel cadavere agonizzante e riverso al suolo, come se si
potessero toccare delle ferite immaginarie e ribollenti di sangue vivo e
viscido.
Una visione alquanto agghiacciante
ed assai controversa, ma molto efficace, così da coinvolgere emotivamente anche
l’ascoltatore più scettico.
Ed ora passiamo alla
tracklist!
L’album inizia con “Only one
will die” e con questa il ritmo martellante della batteria, continuo e
martellante. La voce di George fa da scenario ad un contesto omicida e
vendicativo, esprimendo nel suo growl odio e disprezzo. In pochi minuti si è
catapultati in una morbosa realtà, fatta di splatter e gore nelle loro mille
sfaccettature le quali accompagneranno il resto della tracklist, in un vortice
sempre più perverso e frastornante.
La seconda track è la canzone
omonima del disco, la quale convoglia spudoratamente la sensazione di morte da
accoltellamento, dove le viscere fuoriescono dal corpo macabramente sventrato e
pugnalato con furia omicida, come rappresentato dalla copertina stessa, dove si
è coinvolti attivamente in pochi centimetri di carta stampata. Il titolo esprime,
in sintesi, la visione di se stessi travolti dal sangue che fuoriesce dal
proprio corpo martoriato. Gli occhi che vengono travolti dalle convulsioni
finiscono per dischiudersi a causa della morte per dissanguamento, dopo aver
visto un mare rosso e denso spargersi attorno alla superficie. Un’immagine
macabra, inquietante e perversa, la quale è accompagnata dalla voce grottesca
di Fisher e dai riff potenti di Rob e Pat.
La traccia successiva è “Code
of the slasher” la quale parte con un’intonazione pesante e cadente, grottesca
ma piacevole allo stesso tempo, dove la pesantezza si alleggerisce con
l’intonazione vocale di George, creando una situazione apparentemente
equilibrata e ben strutturata, nonostante il lato marcio del death. In questa
parte il basso è molto presente ed assai percettibile all’orecchio. Il ritmo è
molto rapido e convulso, come le palpitazioni di un cuore preso dal panico, ma
in contemporanea risulta lineare come il raziocinio di una mente fredda e
cinica. La crudezza delle parole mista al rovente timbro di voce di Fisher
enfatizzano maggiormente questa canzone agonizzante e catatonica.
Poi arriva “Shedding my human
skin” la quale parte con un’intonazione generale più elevata e acuta rispetto
alla precedente. Immancabili sono i rulli persistenti della batteria, segno che
Paul tiene ancora in corpo la dinamicità di quando era un semplice ragazzino di
una band death di paese. I suoi battiti insistenti come un irruento terremoto
creano un alone ancestrale e coinvolgente. Verso la fine del secondo minuto si sente
un riff pazzesco di chitarra, pieno ed irruento che appassirà man mano alla
fine della canzone.
Subito dopo, senza darci
tregua, appare “Remained” in una veste cupa e tenebrosa, dapprima pesante ma
subito dopo rapida ed incessante, dove prevalgono lunghi secondi in cui la voce
di Fisher si assenta per un tempo che pare interminabile.
La sesta track aspira ad un
forte riscatto, infatti si intitola “Firestorm vengeance” la quale è
accompagnata da un’irrefrenabile istinto omicida e tanto tanto kerosene.
Immediatamente il titolo si potrebbe ricollegare ad una morte agonizzante in un
rogo dove il corpo si carbonizza lentamente fino a ridursi in cenere, dalla
punta dei piedi a quella dei capelli. Paradossalmente il ritmo della canzone
invoca proprio la discontinuità di un fuoco, il quale si intervalla tra momenti
di quiete e momenti di estrema potenza termica, il tutto accompagnato da una
voce straziante e perversa.
Successivamente “Heads shoveled
off” fa presagire un contesto analogo alla Rivoluzione Francese, dove di teste
mozzate se ne sono viste a iosa. Infatti il titolo, tradotto in italiano, è “Teste
spalate” e quindi l’analogia potrebbe essere azzeccata. Ci si trova in una
macabra situazione dove migliaia di teste sfregiate vengono ammassate in un
unico e grande spazio, immenso ma macabro e brutale. Dentro la propria mente si
sta elaborando un macabro spettacolo, tale da farci immedesimare nelle povere
teste spiattellate e dai volti irriconoscibili. Direi molto macabra come cosa,
dato che il ritmo della canzone aiuta l’ascoltatore ad elaborare la scena.
Poi “Corpus Delicti”, una
canzone dal titolo latino il cui significato è piuttosto palese. Infatti vuol
dire semplicemente cadavere, o “corpo del delitto”, ed è normale che siano
presenti dei cadaveri in un contesto death metal dai testi brutali. Il soggetto
coinvolto nell’efferato delitto è una persona, agonizzante e riversa nel suo
caldo lago di sangue. Il tutto è enfatizzato dalla sonorità cupa e altrettanto
agonizzante della canzone, che ha un ritmo cadenzato e rapido allo stesso
tempo.
Adesso compare un’altra
canzone editata dalla Metal Blade in anteprima al nuovo album, ossia “Scavenger
consuming death” dove si denota la brutalità di un corpo martoriato da percosse
e martellate, riverso in una pozza di sangue mista a terra, divorato dai vermi
e dalle intemperie. La pietosa dissolvenza di una persona che ha subìto
un’altrettanta pietosa fine prevale nel testo di questa canzone. Della persona
ne rimarranno solamente le ossa calcificate con degli invisibili pezzi di carne
attorno ad essi, in quanto il corpo è stato divorato dagli agenti esterni e dai
mangiatori di carogne.
A seguire “In the midst of
ruin”, un concentrato distruttivo ed apocalittico dove regna un’atmosfera
lugubre e malsana, dove si inalano gli odori pungenti di corpi putrefatti
incastrati tra le rovine. Declino, orrore e desolazione costituiscono l’essenza
di questo brano il cui ritmo pare a tratti melodico ed altisonante, come a dare
enfasi ad una situazione di raccapricciante solitudine e abbandono.
Strumentalmente parlando le chitarre si dilettano in assoli e riff marcati,
diventando così le protagoniste di questo testo inquietante.
La penultima si intitola
“Destroyed without a trace” e già dal titolo si capisce benissimo l’entità del
testo. Distruzione totale, efferata e compulsiva. Una tabula rasa brutale e
primitiva che rimanda ai saccheggiamenti primitivi e istintivi, come i
guerrieri nelle epoche antiche: saccheggiare, distruggere e radere al suolo
senza lasciare tracce del proprio cammino, portando alla conclusione un evento
dettato dalle leggi della natura e non da quelle dell’irraziocinio umano. Direi
un testo efficace e devastante, che unisce un ritmo incessante di batteria ad
uno sfuggente di chitarra, accompagnati dalla voce di Fisher.
L’album si conclude con
“Hideous Ichor”, canzone che inizia con un accenno melodico tra chitarra, basso
e batteria, instaurando una fusione armoniosa e ben bilanciata. Paradossalmente
questa track risulta essere abbastanza melodica rispetto alle altre, ma
ugualmente brutale e cadenzata. Persino la voce di Fisher risulta essere più
melodica in quanto si fonde col contesto generale, nonostante il suo growl
possente. Canzone molto ben strutturata e piacevole.
Infine, questo cd s’è rivelato
veramente un bell’album, capace di coinvolgerti emotivamente sotto ogni punto
di vista. Anche se potrebbe sembrare monotono, in realtà il ritmo spazia molto,
dall’essere pesante e “difficile da digerire” all’essere martellante e copioso
come un forte temporale d’estate. Ovviamente i Cinque si sono dati molto da
fare per poter concepire un album così grottesco e brutale ed i loro sforzi
sono stati ripagati con un ottimo risultato. Essendo il tutto molto elaborato e
ben orchestrato, direi che una valutazione sommaria di 8 su 10 sia ottimale per
dare giustizia a questo lavoro di una band la quale spegnerà le 30 candeline
tra un paio d’anni.
Che dire, i Cannibal sanno
sempre come far centro!
Silvia S.
VOTO
8/10
Tracklist:
1- Only
one will die
2- Red
before black
3- Code
of the slashers
4- Shedding
my human skin
5- Remaimed
6- Firestorm
vengeance
7- Heads
shoveled off
8- Corpus
delicti
9- Scavenger
consuming death
10- In
the midst of ruin
11- Destroyed
without a trace
12- Hideous
Ichor
Line-Up:
George Fisher – voce
Pat O’ Brien – chitarra
RobBarrett – chitarra
Alex Webster – basso
Paul Mazurkiewicz – batteria
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